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SWEET GOLD

Nelle remote catene montuose del Nepal, tribù isolate raccolgono da secoli un miele unico dalle pendici himalayane. Queste comunità vivono nel paesaggio aspro del Dhaulagiri, in villaggi di legno e pietra sovrastati dal Monte Everest, raggiungibili solo dopo giorni di viaggio a piedi. La caccia al miele resta una tradizione antica e pericolosa, svolta con strumenti rudimentali e senza alcuna misura di sicurezza. Questa pratica è sempre più minacciata, non solo dai cambiamenti ecologici, ma anche dalla crescente fama e richiesta del miele nei mercati asiatici, dove la sua rarità ha fatto lievitare i prezzi alle stelle.

Il miele è prodotto dalle api più grandi al mondo, le Apis laboriosa himalayane, e la sua composizione varia a seconda della stagione e dell'altitudine dei fiori da cui proviene il nettare. In primavera, quando le api raccolgono il nettare dai fiori di rododendro, il miele contiene una neurotossina chiamata grayanotossina, che gli conferisce proprietà allucinogene. Un paio di cucchiaini possono indurre un effetto simile a quello della cannabis, mentre dosi maggiori possono essere pericolose. Alcuni trovano il miele inebriante, ma i nepalesi considerano il “miele pazzo” medicinale, utilizzandolo in piccole dosi come antisettico e analgesico. Un anziano cacciatore di miele afferma persino: “Un cucchiaino ogni mattina rafforza il sistema immunitario, ma troppo può causare allucinazioni, cecità o persino arresto cardiaco”.

Prepararsi a documentare questa rara tradizione ha richiesto un anno di sforzi instancabili, numerosi contatti e momenti di dubbio. Viaggiando da solo nelle Himalaya, sono finalmente arrivato alla tribù Pun dopo quattro giorni di trekking arduo. Accolto con inchini, musica e segni di tilaka, ho assistito a una vita di villaggio vibrante, piena di sorrisi genuini. Durga Gharti, il “Śikārī” o capo dei cacciatori di miele, si preparava per la caccia, un rituale confermato dagli anziani del villaggio che consultavano le loro divinità. Il giorno prescelto fu annunciato con offerte, cerimonie e il sacrificio di capre, il cui sangue simboleggiava vita e rinnovamento.

Seguirono giorni di trekking incessante, attraverso giungle dense e fiumi ghiacciati, finché non raggiungemmo il luogo della caccia al miele, ai piedi di una parete rocciosa a picco. Armati di canne di bambù, corde fatte a mano e lunghe scale, i cacciatori si muovevano con rapidità, tagliando gli ostacoli mentre io arrancavo sotto il peso del mio zaino, spinto dalla determinazione.

All’alba, gli uomini si prepararono per la pericolosa scalata. Il fumo delle foglie bruciate si sollevava, tenendo lontane le api che difendevano furiosamente il loro tesoro dorato. Durga guidava la sua squadra con abilità e coraggio, tagliando favi di miele da enormi alveari mentre le api lo attaccavano con furia. Sembrava che avesse un legame spirituale con queste creature, consapevole dei rischi di questo atto primordiale.

Il raccolto si concluse quando Durga lasciò una parte dell’alveare intatta, per garantirne la rigenerazione. Quella notte, al campo, gustammo il miele conquistato a fatica, alcuni di noi inebriati, altri persi in conversazioni con divinità invisibili. Osservai gli uomini, ammirando la loro forza e il loro umorismo, e la purezza dell’ambiente che chiamano casa.

Questo viaggio, tra sogni e follia, ha realizzato le mie aspirazioni più profonde. Mentre giacevo sotto le stelle, mi chiesi se quella notte, finalmente, avrei trovato sonno.

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