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DELITTO PASSIONALE

Come fotografo, l’unico potente mezzo che possiedo per esprimere e comunicare è la mia fotocamera, uno strumento che offre una gamma infinita di percezioni ed interpretazioni, capace di creare immagini che stimolano e provocano riflessioni. Ho iniziato a lavorare a questo progetto un anno prima di metter piede in questa incredibile terra chiamata Bangladesh. Nonostante lo slancio e la forte passione, comunque, non è stato affatto facile; ho trascorso un lungo periodo pervaso da inquietudine, spesso con la sensazione di non essere all’altezza, di non essere abbastanza preparatoo in grado di utilizzare la dovuta delicatezza nel raccontare una realtà attraverso quest’arma invisibile e silenziosa che, sia pur nell’anonimato e nella sua semplicità, è capace di un atto così orribile e devastante. Sono consapevole che la mia fotocamera sia l’occhio attraverso il quale il mondo  vede la storia che voglio raccontare ed è quasi inevitabile che la società reagisca con stupore ad essa.  Ho, quindi, sentito una grande responsabilità nel trovare l’approccio corretto raccontando la storia di queste anime a chi non è a conoscenza di questo orrore.

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Ma fin dal primo momento in cui ho incontrato Selina, dirigente esecutivo presso la ‘Fondazione Acid Survivors’ (ASF), ed ho ascoltato le sue parole aggraziate, quell’ansia è svanita. Per quasi tutto il tempo sono rimasto in silenzio su quel divano di fronte a lei, ascoltando piacevolmente quella voce avvolgente e le sue parole. Ricordo, in particolare, una sua frase, che mi è rimasta in testa per giorni:

“Il crimine peggiore su questo pianeta è rubare”.

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Ho trascorso del tempo a riflettere e ad interrogarmi su quelle parole, fino a capirne il senso. Nel raccontare una bugia, si ruba a qualcuno il diritto di conoscere la verità; uccidendo un uomo, si ruba una vita; approfittando di qualcuno, si ruba il suo tempo; nel privare una persona della sua identità, si ruba un futuro. L’ultima parvenza di imbarazzo rimasta dentro di me è scomparsa completamente non appena ho incontrato loro, i sopravvissuti. All’inizio ho pensato che la comunicazione fosse la maniera più naturale per imparare a conoscerci, ma dopo poco ho realizzato che le parole non erano necessarie. Sorrisi e sguardi sono stati sufficienti per costruire gradualmente una fiducia reciproca e la barriera emotiva tra me e questi eroi contemporanei è scomparsa quasi immediatamente.

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“Ero la ragazza più bella del mio villaggio, avevo molti amici ed ero felicissima”.

Rehana viveva con la sua famiglia ed inseguiva il sogno di studiare medicina, quando le è stata rubata l’identità. Fino ad allora non aveva conosciuto il dolore; la sua unica ‘colpa’ è stata rifiutare le effusioni di un vicino.

 

“Era buio ed improvvisamente ho sentito una presenza accanto al letto. Non appena ho aperto gli occhi, mi stava gettando addosso un secchio di acido. In un istante mi sono sentita morire; la mia bellezza si stava sciogliendo e con essa il mio futuro. Quel giorno ho perso la mia infanzia e tutti i miei amici”.

 

Rehana ebbe per lungo tempo una forte crisi d’identità e soffrì di esaurimento nervoso a causa del volto sfigurato e dei lineamenti deformati. Si chiuse in se stessa e non potè più proseguire gli studi. Da quel momento ‘Acid Survivors Foundation’ (ASF) le fornì l’assistenza medica riabilitativa ed economica necessaria per aiutarla a ricostruire la propria vita. Rehana ha vinto ed è tornata a vivere risollevandosi da un incubo fatto di isolamento, in cui lo spazio per l’affetto, l’amore e la prospettiva di una vita normale erano scomparsi. Attualmente lavora per un’istituzione e due anni fa la sua famiglia ha organizzato un matrimonio per lei. Oggi è una donna felicemente sposata. Le si inumidiscono gli occhi, per un istante, ma la malinconia scompare non appena il bambino che ha in braccio, per catturare la sua attenzione, le accarezza senza timore le cicatrici sul volto; ama la madre per quello che è. Lei gli bacia la fronte e gli sorride. Un gesto meraviglioso e commovente.

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Runa aveva 20 anni quando, una notte, il cugino decise di aggredirla. Crimine passionale, è così che viene definito. Un gesto concepito in alcune circostanze come normale, provocato dalla gelosia ed alimentato dal desiderio di vendetta verso una donna che ha respinto una proposta di matrimonio. L’intento dell’aggressore consiste nel deturpare il volto della donna e privarla della sua bellezza perchè non possa avere un futuro, come un castigo indelebile. “Se non può essere mia non sarà di nessun altro”, pensa. “Sfigurata, spaventata, cieca e sorda nonriuscirà a trovare un lavoro e diverrà un peso per la famiglia”. Nell’attacco il volto di Runa è stato brutalmente deturpato e la vista dall’occhio sinistro persa. Ci sono voluti 12 anni e 15 interventi chirurgici prima che potesse tornare a vivere, anche e soprattutto grazie alla forza del marito che non l’ha mai abbandonata. Oggi il suo sguardo esprime il coraggio e la determinazione nel ricostruire una nuova vita per sé e una nuova speranza per il domani.

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L’incidente di Peyara è avvenuto nel 1998. Più del dolore e del trastorno psicologico per il suo aspetto era il rifiuto della famiglia a terrorizzarla. Eppure, grazie al loro amore, all’accettazione e al sostegno, è stata in grado di andare avanti. Una lacrima fugace sul viso le solca la guancia mentre osserva il mondo scorrere fuori dalla finestra. È forte davanti all’inevitabile realtà di un futuro diverso da quello che aveva immaginato. Oggi Peyara è avvocato e portavoce dei membri di ‘Acid Survivors Foundation’ (ASF) in qualità di consulente e supporto legale delle vittime di attacchi con acido. Mentre una volta era terrorizzata al pensiero di affrontare le difficoltà che implicano il reinserimento in una società non incline alla sua diversità, oggi Peyara è una donna orgogliosa. È una madre responsabile, una leader della comunità, un avvocato, un superstite ed un’eroina.

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Sweety (Dolcezza) era solo una bambina quando, una notte di 12 anni fa, suo marito decise di privarla della sua bellezza. Fin dal primo momento in cui ho messo piede in casa sua non ha smesso di sorridermi. È così bella e irradia così tanta gioia che nessun altro nome potrebbe esserle più appropriato.

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“Mi sono sposata all’età di 12 anni. Un matrimonio organizzato dalla mia famiglia, pensando fosse la scelta giusta per me. In realtà da quell’istante la mia vita ha cominciato a diventare un incubo. I suoi genitori erano assetati di denaro e mio marito mi picchiava, specie se la mia famiglia non pagava abbastanza. Il problema è sorto quando i risparmi dei miei i genitori sono finiti. Per oltre un anno sono stata picchiata e violentata, fino a che la sua famiglia ha preso la decisione di vendicarsi usando l’acido”.

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L’attacco con l’acido viene spesso utilizzato per punire le donne sposate nella situazione in cui i loro cari non possono o non intendono pagare la dote richiesta dal marito o dalla sua famiglia. Questi attacchi sono comuni nelle società in cui la disuguaglianza di genere impone alla donna di ricoprire una posizione subordinata rispetto all’uomo.

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“La peggiore delle ingiurie subite non è stata quando ho capito che il mio futuro era stato cancellato per sempre insieme ai lineamenti del mio volto, bensì quando tutti nel villaggio mi hanno accusato di essere responsabile dell’accaduto. Mi fissavano deridendomi. Amici e persino parenti mi imputavano la colpa, dicendo che la mia famiglia doveva aver commesso un errore per meritare una tale punizione”.

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Ha vissuto il dolore, le lacrime, le sofferenze, attraversato 5 anni di trattamenti ed affrontato 6 interventi chirurgici, ma Sweety non ha perso il suo sorriso in nessun momento. È di fronte a me e, dietro di lei, su uno scaffale, spicca un trofeo. Mi spiega che fin da piccola rincorre il sogno di diventare una ballerina. Quel sogno è rimasto custodito nel suo cuore ed ora si è realizzato. Quel trofeo rappresenta esattamente questo: coraggio, impegno e passione.

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0ggi gli attacchi con l’acido sono segnalati in molte parti del mondo e concentrati prevalentemente in Asia meridionale; il Bangladesh, con la percentuale più elevata, ha denunciato circa 3500 vittime di attacchi d’acido dal 1999, con un calo di 494 vittime nell’anno 2002. Da allora queste pratiche del dolore sono in costante diminuzione, con 44 attacchi riportati nel recente 2016. Uno dei meriti maggiori è sicuramente da attribuire all’apporto fornito dalla ‘Fondazione Acid Survivors’ (ASF), una delle pochissime ONG che lavorano a stretto contatto con il governo del Bangladesh. L’intento è quello di ridurre fino ad eliminare gli attacchi con acido nel paese e garantire che i sopravvissuti abbiano la possibilità di vivere con dignità. A questo proposito, la fondazione gestisce un ospedale con 20 letti, pronto a fornire servizi per una cura di primo soccorso subito dopo l’attacco, tra cui chirurgia plastica e ricostruttiva.

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I 45 membri dello staff (inclusi 25 sopravvissuti) sono anche in grado di fornire assistenza legale, medica, consulenza e monetaria ai sopravvissuti per aiutarli a ricostruire le loro vite. È indubbiamente un passo avanti per l'intera società, ma nonostante la significativa riduzione del loro numero e il calo di questo tipo di tendenza alla violenza nel corso degli anni, purtroppo questo è un crimine che si verifica ancora in tutto il mondo.

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“È ora di finirla di parlare solo di numeri e statistiche” dice Selina, “e parlare del sorprendente progresso che molte di queste persone hanno raggiunto”.

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“Dobbiamo essere grati a tutti i sopravvissuti che stanno cercando non solo di ricostruire la propria vita, ma anche di cambiare quelle di altre vittime. I nostri superstiti stanno giocando un ruolo fondamentale per prevenire e proteggere la violenza con acido”.

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L’esortazione a sensibilizzare la società verso il dovere morale del diritto alla vita mira a identificare la violenza sotto un aspetto che in precedenza non conoscevano, affinché future aggressioni possano essere evitate. Rehana, Runa, Peyara e Sweety sono solo alcune delle tante eroine che chiedono giustizia rimuovendo il velo, mostrando con orgoglio i loro volti e facendo sentire la loro voce. Sono loro il vero simbolo di un destino crudele che cambia. Hanno trovato il coraggio di reclamare la loro vita, sconfitto la violenza, la vittimizzazione e la disperazione grazie al coraggio di assumere in nuovi ruoli per gli altri.

 

Questa forza e determinazione sono straordinari esempi di come ogni sfida possaessere trasformata in opportunità.  Un esempio per le vittime di qualsiasi forma di violenza, portavoce di chi affronta la vita con coraggio, forse l’unica difesa possibile.

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